Arriva all’uscita da scuola, lui, il timbratore scelto. Un mezzo uomo alto una spanna. Esce volteggiando sulla sua cartella confondendosi tra la folla di genitori accorsi a prendere i propri figli. E io sono lì, ignara di quanto accadrà, appostata come sempre con il mio tre ruote messo di sguincio in bella mostra. Mi ci è voluta più di mezz’ora ad arrivare qui, all’Infernetto, tra buche, radici e strade sconnesse. L’altra metà per sistemare i miei albi preferiti, imperlare Bibliolibrò di libri per bambini e vasi portafiori che germogliano storie. E mentre sorrido alle prime famiglie che si fermano a osservare questa stramba figura di velocipede – una formica in mezzo a giganti motorizzati del calibro di SUV, JEEP, BERLINE, STATION WAGON – mi fermo e ascolto. Quella voce, quella frase, quel suono ripetuto. “TIMBRIAMOLO TUTTO!!! ZaC zAC Zac ZAC zAc ZaC zaC”. Il tempo di voltarmi e ancora ZaC zAC ZaC ZAC! Maledetto timbratore, lui e i suoi minuscoli complici: il mio timbro per gli scontrini è stato sottratto dalla guida e ora sta vorticosamente stampando i miei dati sul cruscotto, sui sedili, sulle portiere, sul blu notte della carrozzeria e persino nel cervello! ZaC zAc zaC riesco a fermare la banda dopo che già i primi sei timbri hanno raggiunto anche alcuni libri di Lionni per Babalibri. Nooooo i libri no! Con uno scatto felino riesco a riappropriarmi del malefico SVUOTA-INCHIOSTRO urlando d’un fiato: “Ma vi sembra il caso ragazzi? I libri non si timbrano!”.
Maledette lentiggini, maledetto sorriso innocente che dice: “Perché?”. E giù a raccontare perché e per come, e giù a togliere le macchie assieme. Non ci fossi mai venuta qui! Ora abbiamo persino fatto amicizia, mentre un nugolo di ragazzini si unisce all’allegra combriccola del timbratore scelto ascoltando la storia che porta al libro. “Sapete quanto ci vuole per fare questo libro? Sapete quante persone ci hanno lavorato?”. “Chi scrive” dice la biondina sdentata che resta sul gradino del marciapiede per sembrare più alta di fronte al suo amichetto spilungone, che aggiunge “Chi fa i disegni!”. E poi chi mette il numero alle pagine! E chi è che mette assieme testo e immagini? L’editore! Un coro di piccole pesti entra nel gioco. Ecco, bravi, l’editore è l’unico autorizzato a mettere il suo TIMBRO sul libro. Ce ne sono di diversi. Guardate questo! Qui ce n’è un altro! E questo che è? Un coro di voci mi assale e vedo uno, due, dieci libri ondeggiare su tanti piccoli arbusti uncinati: le mani dei bambini che si sovrappongono alla ricerca di altri libri, altri loghi, altri marchi, altri TIMBRI! Maledetto timbratore scelto, maledetto il suo sorriso che contagia e la sua innocenza che trascina, quella che mi fa dimenticare per mezz’ora gli altri timbri sparsi sui sedili, la carrozzeria e il cruscotto, per intavolare discorsi che richiamano gente, che forse fanno pensare, che scatenano il putiferio mentre Bibliolibrò contento se la ride sommerso da un bosco di libri che si animano per mano di decine di piccole mani. E nuoto tra selve d’inchiostro e galleggio tra domande e affermazioni e sento questa marea che cresce e il disordine che piano piano scema da solo, senza controllo, senza bisogno di ammonimenti, senza punizioni o minacce.
E d’improvviso sono nuovamente sola, gli ultimi bimbi spariscono dentro a quei SUV dove i genitori li aspettano ignari da circa tre quarti d’ora. Le berline partono sfrecciando nel quartiere pieno di villoni e vuoto di biblioteche e posti dove poter leggere senza pagare. Io e il mio guscio timbrato, io e la valanga di libri scoperchiati da riordinare, e la felicità di un giorno di sole condiviso. Io e l’olio di gomito, una mezz’ora, due, tre, per far sparire le tracce del timbratore scelto. E alla fine eccola, la strada: il ritorno è carico di voci, d’inchiostro, di ombre che si allungano al tramonto, di fatica e soddisfazione. Com’è andata? Quant’hai venduto? Mi chiede il mio compagno mentre scolo la pasta a casa. Già… quant’ho venduto?