Editoriale

di Francesca Del Moro

Scegli me fra i tuoi re
un vortice ci avvolgerà
ti prenderò, se mi vuoi
danzammo in due,
lei se ne andò ed io ora
ho i ricordi chiusi in te
la tristezza dentro me
tra due mani, le mie

Quando si tratta di amore, la parola ‘abbandono’ oscilla tra molteplici significati: il polo positivo dell’arrendersi al sentimento e alla passione, e quello negativo, del lasciarsi e/o abbandonarsi al dolore. Nella canzone dei Bluvertigo, i due sensi travalicano l’uno nell’altro, mischiando i propri confini: la tristezza e i ricordi che nascono da un addio sfociano nel desiderio di farsi coinvolgere appieno da un nuovo rapporto. Lette in un certo ordine, invece, le quattro poesie qui presentate sembrano scandire in modo lineare il mutare del significato del termine ‘abbandono’ lungo il percorso di una storia d’amore. Con un’inquadratura dal basso, Miriam Bruni fotografa il ricordo del momento che scatena l’accendersi della passione, quando l’abbandono è un librarsi verso il cielo, una completa esposizione alla luce. Nella poesia di Sonia Lambertini, l’unione erotica funge da appiglio contro il rischio di cadere in un baratro che appare ambivalente: potrebbe coincidere con l’abbandono del sentimento, vale a dire l’incapacità di sentire, o l’abbandono al sentimento, il precipitare in una passione folle. Con leggerezza Silvia Secco accetta la fine di una storia: ironicamente riconosce l’inconsistenza di quanto ha perduto e ne prende commiato con un gesto quasi magico, fiabesco. Molto forte è invece l’immagine di dissolvimento che dipinge Silvia Rosa: nella tazza di caffè amaro che tiene tra le mani il suo viso sembra liquefarsi come un orologio di Dalí, materializzando alla perfezione l’abbandonarsi al dolore che è conseguenza di un abbandono.

Era così altissimo

di Miriam Bruni

Era così altissimo
che più nessuna cosa
poteva fargli ombra

Petto nudo in pieno sole
non se l’aspettava
le hai bucato il cuore

Mi colano gli occhi

di Silvia Rosa

Mi colano gli occhi
in questa tazza di caffè amaro,
gli occhi con tutte le parole
che dicono occhi e tazza e caffè amaro,
con tutte e due le mani
che stringono la tazza e sfiorano le labbra
e vedono nel nero liquido di quest’alba
gli occhi galleggiare come due pesci morti
in una pozza d’acqua sporca,
e la bocca appesa al bordo della tazza
si affaccia al vuoto e inghiotte nero
alba mani e occhi, e quando inghiotte
gli occhi, tace

Credo nella carne

di Sonia Lambertini

Credo nella carne
e nell’incontro, d’ossa
allo sfregamento
rumore secco
al legame, chimico
Esiste il baratro
e lì ci affacciamo
stretti, un po’ alla terra
su cui ci amiamo
e un po’ alle natiche
ai seni
che l’importante è sentire.

Addio del niente

di Silvia Secco

Nel vuoto dell’assenza
contemplo un niente tra le mani:
il tuo belniente abbandonato
al punto di partenza.
Pazienza. Allargo i palmi.
Lo lascio cadere giù.

Inspiro e soffio:
niente più.

Il tempo dell’esistenza

di Francesca Del Moro

“La luna cola occhiate cattive
sull’ultimo ubriaco
teneramente
romanticamente
abbracciato a un lampione
con un coltello nello stomaco”

Al “tempo dell’esistenza” si aggrappa Claudia Zironi con i suoi versi che sembrano ondeggiare come bandiere costantemente a rischio di essere strappate dal vento, “autista e scultore” di nubi. Accarezzate soprattutto negli splendidi haiku, dominano il paesaggio irlandese e impostano il senso del viaggio, catturando lo sguardo che, dopo ogni nuova scoperta, avverte il desiderio di sollevarsi. Le nubi continuano a scorrere su tutte le scene, appassionate e vivide, che le poesie proiettano come spezzoni del film della vita attingendo a tutti i possibili registri del linguaggio. Mutevoli, inconsistenti e in transito, si fanno simbolo della natura effimera del nostro passaggio terreno, affiancandosi ad altre immagini delicate (la carezza d’alga del mare, la polvere impalpabile, il riflesso spento negli occhi, la cenere che si disperde nel vento) e ad altre più crude (i vermi nella terra bagnata che attendono il poeta, il proprio capo reciso appeso a una ragnatela tra mosche nere in preda agli spasmi). C’è sempre un ostinato tendere la mano verso qualcosa che sfugge: i ricordi, i sogni, la propria giovinezza perseguitata dal respiro di vecchia e insidiata dallo specchio. L’esistenza è nominata a più riprese per essere messa in discussione – si parla di sospensione di esistenza, di una prossima esistenza a cui rimandare il proprio vivere – o per rovesciarsi nel suo contrario: l’inesistenza e la morte. In fondo morire è “l’azione più naturale / intrapresa dopo la nascita / che ci accompagna per tutta la vita”. Il tempo avanza implacabile, come suggeriscono i titoli delle sezioni (La vita è un attimo o un concatenarsi di attimi nell’eternità dell’inesistenza terrena; Sono ormai talmente abituata al tempo che riesco a vederne lo scorrere in avanti) ma la sua corsa incontra una resistenza in alcuni titoli quali “Fame di emozioni”, “Carcerata che sogna la libertà” e in versi che condensano lo slancio vitale e la passione di cui è intrisa la raccolta: “Se tanto ho sofferto e tanto amo e tanto ho lottato e tanto / combatto con la cinghia tra i denti ogni giorno”. Con la morte si ingaggia una lotta che non può nascere se non da un profondo amore per la vita che, sconfitta dal tempo, come avverte una voce fuori dal coro ascoltata in un pub in Irlanda, può trovare nell’arte la propria rivincita.

Claudia Zironi,
Il tempo dell’esistenza
Marco Saya Edizioni, 2012