Quando soffri molto, il momento migliore e peggiore è quello del risveglio.
Appena apri gli occhi hai pochissimi secondi di limbo in cui sei fuori da te stesso, sospeso sul mondo.
È il momento migliore della giornata, tutto appare meraviglioso, in uno stato di rilassatezza assoluta simile a quello che si prova quando l’anestesia totale comincia a far effetto e il tavolo freddo della sala operatoria si trasforma in un morbido materasso di fiori profumati.
Ma è un attimo, l’attimo prima è già l’attimo dopo e il momento peggiore è arrivato. Inizi a ricordare, avverti una fitta di dolore lancinante e poi ricordi perché, come se la tua sofferenza scorresse dalle vene alla mente. È terribile. La consapevolezza del tuo dolore, un istante dopo averlo dimenticato.
Stamattina per me è stato così. Anche ieri e l’altro ieri. Sono anni che soffro, per le persone, per le cose, per me, per la vita. E stamattina ho deciso di farlo. Sono mesi che ci penso, mesi che non trovavo il coraggio. Ma oggi è tutto troppo forte e insostenibile. Ho deciso. Mi vesto, prendo le chiavi della macchina, arrivo all’autostrada più vicina e accosto in una piazzola di emergenza. Mi sbottono la camicetta e con un paio di forbici che ho nel cruscotto mi incido il petto. Lo apro, lo vedo, è lì che batte forte. Il mio cuore. L’unica causa di tutto il dolore. Infilo le due mani e lo strappo. In un solo colpo, senza esitazioni. Continua a battere, apro la portiera e lo abbandono lì, vicino al guardrail. Prendo ago e filo color carne e mi cucio il petto, mi riabbottono la camicetta, rimetto in moto e torno a casa. Non sento niente. Non è meraviglioso e non è terribile. Non è. So di aver fatto la scelta giusta, da ora in poi nessuno potrà ferirmi, neanche il mio pensiero, e l’unica cicatrice che avrò
sarà quella sul mio petto.
Stamattina è già domattina, ho aperto gli occhi e il momento più bello e più brutto erano lo stesso momento, un momento identico a tutti gli altri. Non so come sto, non sento niente. Penso di alzarmi per fare colazione, poi penso che mi alzerei per abitudine, non sento l’esigenza di farlo ma neanche di non farlo. Sono completamente anestetizzata, non sento il tavolo freddo e nemmeno il materasso di fiori profumati. Hanno suonato alla porta, ho aperto ma non c’era nessuno, ho guardato in basso, avranno consegnato il giornale ho pensato, e invece ho visto lui. Ha l’affanno e qualche graffio. Batte lentamente. Non mi chiede spiegazioni, non mi chiede come sto. Non mi chiede permesso, entra e io lo lascio entrare. Il mio cuore. È tornato a casa.