È il fungo più disegnato e amato dai bambini: rosso, con degli appariscenti pois bianchi. Spesso è raffigurato assieme a un rospo che si nasconde sotto il suo ombrello, oppure che vi resta aggrappato sopra, tanto che il fungo è anche chiamato popolarmente “sgabello di rospo” (toadstool, in inglese). Si tratta dell’Amanita muscaria, fungo tossico ampiamente diffuso anche nei nostri boschi.
L’Amanita muscaria è uno dei più antichi e potenti funghi psicotropi: a giudicare da alcune pitture rupestri ritrovate nel Sahara, pare che i suoi effetti allucinogeni fossero conosciuti addirittura durante il Paleolitico (9000–7000 a.C.). Utilizzata, come altri funghi “magici” all’interno di contesti sciamanici, l’Amanita era al centro di un florido commercio che si estendeva fino alla Siberia. Gli effetti psicotropi sono talmente forti che non si esauriscono con un’unica assunzione: uno degli alcaloidi contenuti nel fungo (il muscimolo) sopravvive alla digestione e viene espulso intatto tramite le vie urinarie, ragion per cui un tempo si usava bere l’urina di chi aveva utilizzato il fungo, fino addirittura a 5 o 6 passaggi.
Ma l’Amanita veniva usata comunemente anche come trappola per mosche, da cui l’appellativo muscaria: si riteneva infatti che il fungo attirasse e uccidesse questi insetti, per cui veniva posizionato sui davanzali delle finestre. In effetti, le mosche che si posano sulla cuticola del cappello dell’Amanita e la leccano, nel giro di 20 minuti manifestano i sintomi dell’intossicazione; non riescono più a volare, si fanno scoordinate nei movimenti, cadono in preda a tremori e infine rimangono “stecchite”, rivoltate sul dorso e con le zampe all’aria.
Eppure, secondo Giorgio Samorini, ricercatore specializzato in piante psicotrope (sua la scoperta delle pitture sahariane a cui si accennava qui sopra), dietro alla fama di “ammazzamosche” dell’Amanita si nasconderebbe una possibilità molto più affascinante.
Le mosche intossicate dal fungo sembrano morte, ma in realtà non lo sono affatto: se osservate con sguardo attento sotto una lente d’ingrandimento, mostrano degli spasmi peristaltici e in effetti, dopo essere rimaste sdraiate con le zampe ripiegate all’insù anche per ore, si risvegliano e prendono il volo come se non fosse successo nulla.
Che le mosche vengano attirate e stordite dal fungo a causa di un puro “incidente evoluzionistico” sembra piuttosto improbabile. Nel suo articolo Fly-agaric, flies and toads: a new hypothesis (1999), Samorini formula quindi l’ipotesi che gli insetti si posino sull’Amanita volontariamente, con il preciso scopo di rimanere inebriate dall’agarico muscario. Questi insetti non sarebbero certo gli unici animali a drogarsi intenzionalmente, in natura: mucche, elefanti, gatti, renne, capre, uccelli, farfalle, formiche sono soltanto alcune fra le molteplici specie che sembrano davvero apprezzare gli “stati alterati” di coscienza.
E i rospi, che cosa ci fanno appollaiati in cima al fungo, come il bruco con il narghilè di Alice? Forse sono interessati un po’ meno alla psichedelia, e un po’ più ai piaceri del palato: standosene nei paraggi di un’Amanita, senza alcuno sforzo, possono godersi una costante parata di mosche inebetite, letargiche e completamente “sballate”... prede perfette per la loro veloce e micidiale lingua.