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I CADAVERI DI VESALIO

di Ivan Cenzi

Il 31 dicembre, oltre all’avvento del nuovo anno, dovremmo anche festeggiare l’anniversario della nascita di uno scienziato a cui tutti dobbiamo moltissimo: Andrea Vesalio.
Forse non avete mai sentito parlare di lui, ma questo grande anatomista fiammingo fu una sorta di Galileo Galilei della medicina, uno studioso talmente cocciuto da inimicarsi tutto l’establishment medico del suo tempo, un rivoluzionario fautore dell’idea (assurda e impertinente, per l’epoca) che la scienza dovesse fondarsi sull’osservazione reale invece che sulle parole scritte un millennio prima dai classici.
Nato a Bruxelles il 31 dicembre del 1514, Andreas van Wesel (questo il nome non italianizzato) proveniva da una famiglia di medici di corte da tre generazioni; fin da quando iniziò a studiare anatomia a Parigi, all’età di 19 anni, si mostrò piuttosto insofferente nei confronti dei metodi degli insegnanti. All’epoca, infatti, i medici non si sporcavano le mani con le dissezioni né tanto meno con le operazioni chirurgiche (che lasciavano fare ai barbieri): i grandi anatomisti erano più simili a colti intellettuali, impegnati a filosofeggiare sul corpo umano.
Vesalio invece voleva vedere con i propri occhi, era stufo di imparare a memoria le pagine dei libri. Così, insieme ad altri studenti, cominciò a visitare il Cimitero degli Innocenti per disseppellire ossa da studiare. Divenne talmente esperto da saper riconoscere un ossicino umano al tatto, mentre era bendato. Procurarsi dei veri e propri cadaveri per le dissezioni anatomiche, a quel tempo, non era affatto semplice: gli aspiranti medici si annotavano le date delle pubbliche esecuzioni, oppure il nome dei malati terminali in cura all’Ospedale, in attesa di poterne riesumare i resti da studiare. Questa macabra attività non era scevra di pericoli: Vesalio racconta di essere rimasto chiuso fuori dall’Università, a notte fonda e da solo, dopo aver prelevato una salma da un patibolo; un’altra volta fu addirittura aggredito da un branco di cani selvaggi.
Eppure fu proprio la passione di Vesalio per le dissezioni che lo portò a scoprire che gran parte delle teorie galeniche, seguite pedissequamente dai medici per ben tredici secoli, era priva di fondamento. All’epoca, criticare Galeno era come confutare i dogmi della Bibbia: eppure durante le sue autopsie Vesalio arrivò a dubitare di quei sistemi su cui si basava tutta la medicina. Per quanto tagliasse e sezionasse cadaveri, infatti, non c’era traccia del fantomatico “pneuma”, né dell’assodata “rete mirabile” in cui si formavano “gli spiriti naturale, animale e vitale”.
Il 1543 fu un anno esplosivo: da una parte Copernico, con il suo trattato che dimostrava che “in mezzo a tutto sta il Sole”; dall’altra Vesalio, che pubblicò a Basilea il De humani corporis fabrica. Il testo era accompagnato da splendide tavole anatomiche ad opera dell’incisore fiammingo Van Calcar, e già dal frontespizio si preannunciava controverso: l’anatomista vi veniva rappresentato nell’atto della dissezione di un cadavere, e non in quello di recitare il testo dell’auctoritas. Vesalio espone nella Fabrica circa 220 errori commessi da Galeno, e sostiene l’importanza dell’osservazione diretta e dei dati oggettivi.
I galenisti, furibondi, osteggiarono Vesalio per il resto della sua vita. Il suo vecchio insegnante Jacobus Sylvius tentò con ogni mezzo di intaccarne la reputazione presso l’imperatore, arrivando perfino a condannare la dissezione come atto empio: interrogati sulla questione, i teologi dell’epoca però negarono che fosse contraria alla dottrina, anzi ne lodarono l’utilità.
Vesalio morì in seguito a un misterioso viaggio in Terra Santa, nel 1564. Ci sarebbe voluto ancora molto, molto tempo, prima che la mentalità dei soloni della medicina cambiasse davvero, ma il primo passo era stato fatto. Egli è tutt’oggi considerato il padre della moderna anatomia.