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EFFETTO LOLITA

di Ivan Cenzi

Nel 2002, in Francia, furono pubblicati due libri che attirarono feroci critiche: Rose Bonbon di Nicolas Jones-Gorlin (Gallimard, 2012; ed. it.: ES, 2003) e Il entrerait dans la légende, (éditions Léo Scheer, 2002; ed. it. Entrerà nella leggenda, ES, 2004 ) di Louis Skorecki. Entrambi trattavano un tema controverso, quello della pedofilia, da un’angolazione particolarmente pericolosa: sposando il punto di vista del pedofilo.
Trattandosi di opere di fantasia, le vittime di cui si parlava non erano bambini in carne e ossa, quindi, secondo la legge, i due libri non potevano essere assimilati alla pedo-pornografia. Ciononostante, per i detrattori si trattava di pubblicazioni eticamente inaccettabili, che da un lato potevano impressionare le “menti deboli”, dall’altro istigare al crimine. Per gli alfieri della libertà autoriale, invece, censurare i libri solo perché affrontano il tema del Male porterebbe a rifiutare potenzialmente molti grandi capolavori della letteratura e a bruciare metà delle biblioteche di tutto il mondo.
Il principio fondamentale in questione qui è la distinzione tra realtà e creazione artistica.
Lo stesso tipo di problema viene affrontato da sempre dai manga giapponesi appartenenti al filone del lolicon o dello shotacon: questi fumetti esaltano l’attrazione estetico-erotica per bambini e ragazzini appena entrati nella pubertà, e talvolta comprendono situazioni esplicitamente sessuali che coinvolgono minorenni. Si tratta di una tradizione artistica ormai trentennale, tipicamente giapponese, che ha dovuto fare i conti con aspre interrogazioni e proposte di legge censorie, finora mai passate in Parlamento.
Anche artisti riconosciuti a livello internazionale hanno avuto i loro problemi: Trevor Brown, illustratore pop-surrealista e padre della “baby art”, è emigrato dall’Inghilterra al Giappone molti anni fa, proprio per sfuggire a quella che considera una “caccia alle streghe”, cieca censura che demonizza l’arte scomoda, equiparandola ai veri e propri crimini sessuali.
Infatti, in Gran Bretagna, qualsiasi tipo di illustrazione raffiguri un minorenne in un contesto sessualizzato è considerata pedo-pornografia: la legge include in questa definizione non soltanto fumetti, disegni e dipinti, ma anche fotografie pornografiche di maggiorenni che “sembrino” minorenni (ad esempio, donne dai seni troppo piccoli). Anche Svezia, Canada, Filippine e Sudafrica condividono questa politica censoria.
In Italia invece la legge 38 del 02/03/2006 introduce il reato di pedo-pornografia virtuale soltanto per le immagini realizzate ritoccando foto di minori o parti di esse “con tecniche di elaborazione grafica [...] la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali”. Per il nostro legislatore, quindi, il reato non sussiste quando l’opera è evidentemente frutto di fantasia.
Al di là delle discussioni sulla possibile “istigazione al crimine”, che da Arancia meccanica ai videogiochi violenti lasciano sempre il tempo che trovano (a causa dell’impossibilità di ottenere dati scientifici al riguardo), forse lo spunto di riflessione più interessante resta quello sui confini dell’arte. Siamo d’accordo che l’arte possa avere un potere destabilizzante, possa mettere a disagio, forse addirittura debba farlo. Ma fino a dove è lecito spingere l’esplorazione artistica? È giusto che l’arte si ponga dei limiti etici, oppure che sia completamente libera di scandagliare anche i lati più oscuri dell’esistenza?
Nel frattempo, per quanto riguarda la pedo-pornografia, sempre dal Giappone arriva l’ultima frontiera: la serie di DVD Koibito Mesen (“lo sguardo dell’amante”). Si tratta di bambini che guardano semplicemente in macchina, per un quarto d’ora.
Il prodotto editoriale è inattaccabile, pulito, perché i minori non subiscono alcun abuso e tutta la “pornografia” si svolge nella testa dell’osservatore. E sarà davvero difficile censurare la fantasia di chi guarda.