“Alla maggior parte delle bambine e dei bambini succede lo stesso: la pelle del corpo si ispessisce con gli anni perché il mondo non li ferisca facilmente. Strati e strati di pelle che via via ne proteggono i gomiti, le ginocchia, le piante dei piedi, i palmi delle mani.”

Ricardo Chávez Castañeda, Il quaderno degli incubi

Con questo frammento è nato il numero di novembre. La lettura di questo paragrafo ha scatenato tutto un insieme di ricordi e incontri e parole che si sono mescolati prendendo di colpo forma. Capita ogni volta che si legge qualcosa di vero e di ben scritto. Il risultato è stato un groviglio di peli accumulati nella pancia di un gatto che ILLUSTRATI si propone di tirar fuori, mostrare e guardare insieme, nelle sue più svariate interpretazioni.
… e così. non se ne era neppure accorta. tanto lento era stato il processo. fino a che un giorno si era guardata allo specchio e si era trovata a guardare il riflesso di un’armatura.
la sua pelle non era stata capace di ispessirsi. e in mancanza di quella difesa naturale aveva indossato una tale ferraglia da non riuscire più a sorridere. da non riuscire più quasi a muoversi. isolata dal resto. isolata da se stessa.
un pettorale a proteggere il cuore. e i sentimenti che vi celava all’interno. con una falda ben lunga per coprire i genitali. camaglio e elmo a custodire i ricordi. i più profondi pensieri. a celare i sorrisi. o le lacrime. manopole. a proteggere le mani da tutte quelle spine o chiodi o esseri umani che avrebbe potuto inavvertitamente sfiorare. spallaccio e protezioni del braccio così pesanti da impedire il movimento e l’inavvertito tocco. strano. imbarazzante.
i caldi raggi del sole la facevano soffocare. il gelo dell’inverno fermava la circolazione del sangue.
inspirava la sua stessa anima che espirava dalla bocca. i pensieri e le parole rimbombavano dentro l’elmo.
lentamente si svestì. pezzo per pezzo. e ritrovò quella piccola creatura che piangeva indifesa. le cui braccia non bastavano a proteggerla.
stanca si sdraiò nuda sul letto. a guardare la luna attraverso le sbarre della finestra.
Questo numero è dedicato a Luca, mio compagno di classe alle elementari. Ha avuto la meningite a due anni ed è rimasto cerebroleso. L’ho visto crescere come lui ha visto crescere me. Di lui ricordo che mangiava sempre i TUC a merenda, con la confezione gialla; che suo fratello si era bruciato il braccio da piccolo e ogni tanto doveva ricoverarsi per fare gli innesti; che sua madre organizzava fantastici compleanni nel garage di casa dove ci invitava tutti e c’erano deliziosi panini al salame con il pane morbido morbido; e che aveva le gengive molto lunghe e si diceva che crescevano senza fine e ogni tanto gliele dovevano tagliare perché non gli coprissero i denti.
Tutte le volte che torno a passare da quel paesino dove ho vissuto la metà della mia vita, lo incontro alla fermata della corriera. Adesso è cresciuto, è diventato molto alto ma ha la stessa faccia di sempre, la stessa espressione, lo stesso taglio di capelli e la stessa montatura scura degli occhiali. E tutte le volte ci guardiamo e ci riconosciamo. Ma lui ha sempre una gran fretta, è tutto concentrato. Deve andare a lavorare. Come me.