Editoriale

di Francesca Del Moro

I bambini se ne stanno scontrosi e annoiati
e così esorcizzano ogni giornata.
I bambini giocano stonati al centro commerciale
e così esorcizzano ogni giornata.

Porcupine Tree

Secondo un approccio new age che ha suscitato vari dibattiti senza però trovare conferme in campo scientifico, i bambini cristallo costituiscono una nuova “razza” affacciatasi sul nostro pianeta al volgere del millennio. Vengono generalmente ritenuti felici e inclini al perdono, con grandi occhi ipnotici e capaci di vedere l’anima delle persone. Sono estremamente vulnerabili e non di rado appaiono immersi nel loro mondo, da cui il rischio di essere diagnosticati come autistici. Martina Campi li descrive liricamente soffermandosi sulla loro predisposizione all’empatia e sul conflitto con un mondo adulto dispotico e incapace di comprenderli. La bontà e il silenzio sono anche i tratti salienti della bambina che si affaccia nel ricordo di Valentina Pinza, di cui percepiamo la trepidazione nel momento in cui si prende cura della madre. Un simile interno notte si ritrova nei versi di Silvio Perfetti, che filmano il ritorno a casa di un padre ubriaco e la solitudine di un bambino usato come ricettacolo di sfoghi emotivi. Nelle poesie di Silvia Secco e Cristina Bove i bambini compaiono come angeli danneggiati, nascosti dietro muri di regole, menzogne e oggetti-maschera costruiti dagli adulti. Sono angeli dalle ali tarpate, che a volte, come nella poesia di Cristina, riescono comunque a spiccare il volo, oppure, nei versi di Silvia, rimangono a curarsi lividi e ferite per poter sopravvivere a terra.

Di fingimenti e apparizioni

di Cristina Bove

i fiordalisi del parato
i ghirigori
i tralci ammutoliti senza vento
davano sicurezza agli inquilini
l’intonaco un segreto  
mai rivelato ai nuovi abitatori
e tra velluti e nappe
elefanti turchini fermalibri
    _bambina non giocare con la palla_
    dissero in coro le pareti, qui
    si respira polvere e passato
    le vedi le creature sul parquet? le vedi?
    occhi di giada tremule vibrisse
    _oh, sì, gatti viola_
    non sono gatti _ribadì la madre
    abbandonata tra i cuscini_
si potevano scorgere chimere
unicorni grifoni basilischi
scaglie code
ali nervate trasparenti o nere
    Crebbe d’un tratto la bambina, neve
    le cadde sui capelli, gli occhi
    non vollero vedere
appassivano intanto le vetrate
come se un cencio le afflosciasse, come
se un soffio d’anima rovente
le sciogliesse
le domestiche afflitte
frantumavano brocche di pandora
per farne tracimare finti amori
e piccoli omicidi giornalieri
    soltanto la bambina ebbe sospetti
    ma sostenuta da presenze arcane
    spinse da parte il mare
    e volò via

Portatori di schemi di linguaggio anormali

di Martina Campi

Estenuante chiede attenzione
e pretende da te la telepatia
quando s’è detto bisogna parlare
e non giocare con le pietre.
È quando hai lo spazio nel cervello per sentire
tutto il dolore intorno, come una coscienza da liberare
che non esclude nessuno e non scorda nessuno,
dove si brilla anche quando ci si ferma.

Buona

di Valentina Pinza

Che bambina buona! Non fiatavo.
Non lasciavo tracce.
In silenzio ti esaminavo prendere le gocce ogni sera
all’esame serale
con cura le contavo, quando chiedevi a me
di metterle nel bicchiere
alle 9 e mezza, gocciolavo le gocce
e poi andavo a letto con l’ansia
di aver sbagliato la dose
la porta della mia stanza aperta per far entrare la luce
e a volte la tua voce,
anche se c’era la paura
di sentirti parlare da sola.

Lui rientra

di Silvio Perfetti

Lui rientra
a tarda notte
ubriaco di malessere
più due litri di vino
spalanca la porta
come piovuto
da una nuvola d’acido
e ti vomita addosso
i rancori dei suoi insuccessi
poi se ne va
lasciandoti solo/a
soprammobile
tra i soprammobili.

Piccolo serpente velenoso

di Silvia Secco

Ci sono i bambini feriti
dietro le porte chiuse delle vostre case
coi giardini all’inglese e i fiori
beneallineati là fuori nelle fioriere.
Dentro invece sotto tappeti
di capelli ordinati/ abitini stirati/
sane e cristiane educazioni
lì voi li nascondete: bambini violati
come interruzioni. Farfalle
toccate sulle ali minute non ancora
mature ali infrante marchiate.  
Resta questa pece. Dalle ali
non si leva s’incrosta si fa cicatrice
dolo peso di piombo al volo
colpa. No: non voleranno più. Cresceranno
sì e vi assomiglieranno in viso
magari in certi modi di dire nel tono
della voce. Ne andrete fieri:
li avete abituati a non far rumore a stare
seduti composti ubbidienti
buoni bambini muti-ammutoliti e soli (soli
saranno sempre). Intenti  
a rimuovere i lividi. A sopravvivervi.

Argento di lumaca

di Rodolfo Cernilogar

Per questo ho scelto le parole.
Perché non invecchiano.
Come la corteccia della quercia
al limitare di un campo di grano.

Come recita una delle epigrafi a questo libro, a firma di Giampiero Neri, la lumaca è una minuscola creatura che si muove solitaria e silenziosa, lasciando “qualche volta una traccia, come una scia luccicante nell’erba”. Ed è lo stesso luccicore che investe le cose sotto lo sguardo di Rodolfo Cernilogar, un soggetto che nei versi si fa discreto come una lumaca ma al contempo rende più luminoso tutto ciò che descrive, come se vi depositasse sopra una patina magica, un velo d’argento. C’è un ostinato stupore infantile che pervade questi componimenti finemente cesellati, risultato di letture costanti, come lasciano intuire gli omaggi ai poeti amati disseminati in tutto il libro. C’è l’intenzione di comprendere la vita attraverso la forma avvincente della fiaba, chiamando in causa personaggi quali pirati, sirene, principesse e un fiore che dialoga con una farfalla. E, come in ogni fiaba che si rispetti, l’ambientazione non è di poco conto: si moltiplicano infatti i riferimenti alla natura, che viene osservata fin nei minimi dettagli, come se il poeta volesse dipingerla sotto i nostri occhi. Si sente il calore del sole sulle palpebre, il rumore dei sassi che rimbalzano nelle onde, il fruscio dell’erba intorno ai passi, perfino il nero dei pinoli che rimane sulle dita. E tutto questo viene raccontato in modo da trasmettere la sensazione di una continua scoperta, come se il poeta avesse scambiato i suoi occhi con quelli della bambina affettuosamente evocata in buona parte delle poesie. Apparentemente non c’è l’intenzione di comunicare emozioni forti, non c’è nessuna devastazione interiore, nessuno sfogo emotivo, nessun dramma, eppure di tanto in tanto scappano lacrime di commozione, come quelle che sapeva suscitare Tonino Guerra con la stessa semplicità e delicatezza. Con quella leggerezza che, come si dice in una delle ultime poesie, regala Peter Pan tagliando l’ombra.