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­La bambina che parlava ai leoni

di Ivan Cenzi

È difficile risalire al momento esatto in cui l’uomo occidentale ha cominciato a distinguere la Cultura dalla Natura, iniziando cioè ad avvertire un divario tra il proprio mondo (regolamentato da norme sociali) e quello che percepisce come esterno (governato da leggi più imponderabili).
Certo è che ancora oggi avvertiamo questa separazione, come se non fossimo realmente parte di ciò che chiamiamo Natura; in contrasto con le sue forme curve e fluide abbiamo eretto edifici squadrati, e ci siamo convinti che le nostre città siano qualcosa di più di un complesso di nidi e tane; abbiamo riconosciuto qualità superiori ai nostri comportamenti, fino ad arrivare a temere che l’uomo possa infine “distruggere la Natura”. E il fatto paradossale è che proviamo nostalgia per una presunta comunione perduta con gli animali, le piante, e via dicendo.
A fare le spese di questa concezione del mondo sono persone come Timothy Treadwell, il protagonista del brillante documentario Grizzly Man di Werner Herzog, che per “comunicare con gli orsi” è stato sbranato vivo insieme alla sua compagna.
Tippi Degré è un esempio di tutt’altro tenore, ma che fa riflettere. Nata in Namibia nel 1990 da genitori francesi, impegnati in servizi fotografici nella savana, la piccola Tippi ha vissuto per dieci anni nella cosiddetta “natura incontaminata”. Dotata di un carisma straordinario, di grande energia e di un’assoluta assenza di timore nei confronti degli animali, la bambina fin dalla più tenera età ha passato le sue giornate a stretto contatto con loro. Non avendo la possibilità di incontrare altri bambini, gli animali sono diventati i suoi unici amici.
Nelle fotografie e nei documentari che la vedono protagonista, realizzati dai genitori, vediamo Tippi giocare e “comunicare” in maniera eccezionale e toccante con Abu, un elefante di 28 anni, con un leopardo chiamato J&B, con lo struzzo Linda che l’accudiva come una figlia, e con tutta una varietà di animali diversi: coccodrilli, manguste, zebre, serpenti, camaleonti, giraffe, leoni, e chi più ne ha più ne metta. La spigliata ragazzina sa come comportarsi, e capisce al volo qual è il limite che non deve superare, sempre conscia di quello che piace all’animale, e di quello che invece lo infastidisce. Così dimostra di non avere paura di fronte al leopardo, perché “lui deve sapere che io so battermi, altrimenti mi mangia”, e cavalca senza problemi struzzi ed elefanti.
Papà e mamma Degré non erano però genitori irresponsabili. Le belve feroci che vediamo nelle foto erano allevate dall’uomo fin dalla nascita, abituate alla sua presenza e ben pasciute, quindi Tippi non correva relativamente alcun rischio. Abu, il pachiderma suo migliore amico, aveva alle spalle una lunga carriera di “attore” per i film della Disney.
Appena la famiglia rientra a Parigi nel 2000, Tippi diventa subito una star internazionale grazie ai libri fotografici e ai documentari. La sua storia commuove e affascina, perché la bambina incarna un vero e proprio simbolo – un ponte fra Cultura e Natura. Tippi sembra capace, in virtù della sua innocenza, di una prodigiosa sintonia con gli animali selvatici e pericolosi: una sintonia che ricorda San Francesco, o il piccolo Mowgli di Kipling.
La realtà, lo sappiamo, è diversa, perché se il leopardo fosse stato davvero selvatico la bambina non avrebbe nemmeno fatto in tempo ad avvicinarsi. Non vorremmo però che il nostro fosse scambiato per eccessivo cinismo, e che rovinasse l’effetto di queste fotografie, peraltro splendidamente realizzate: anzi, ci sembra che, in aggiunta alla potenza evocativa e indubbiamente liberatoria di queste immagini, sia presente un ulteriore livello di senso, che ci interroga su questioni più profonde. Perché ci commuoviamo di fronte a queste scene? Cosa ci distanzia davvero dalla Natura? E ancora: possiamo amarla veramente senza accettare anche i suoi massacri?
Da sempre l’uomo ha bisogno di favole, e forse la storia di Tippi risponde con dolcezza e incanto infantili a questa necessità.