TONY

testi e foto di Lina Vergara Huilcamán

6 agosto 
Un rumore scoppiettante. Mi volto e vedo una strana sedia a rotelle modificata: tre ruote, motorizzata, rosso scuro. Lui 60 anni. Abbronzatissimo. Occhiali da sole neri. Maglietta senza maniche aderente nera. Casco da motociclista tedesco. Orgoglioso e bello.
Senza gambe. Lo inseguo. Si ferma a comprare le sigarette.
Avrei voluto fermarmi. Parlargli. Fargli una foto. Ma proseguo delusa dalla mia mancanza di coraggio. Domani torno a cercarlo.

7 agosto
Il motociclista oggi non c’era. Capita tutte le volte. Mai rimandare a domani quello che puoi fare oggi. Forse non è del luogo. Forse non compra le sigarette tutte le mattine. Forse non vale la pena tornare tutti i giorni nello stesso posto ad aspettarlo. Forse non lo vedrò mai più… mi chiedo stamattina se l’ho mai visto. Un miraggio della Litoranea Salentina?

8 agosto
Un cane giallo, grande, che non ha niente di meglio da fare che starsene appostato ad aspettare che io passi per corrermi dietro abbaiando… proprio a metà strada tra me e il mio appuntamento con il motorizzato. Un signore con il cappello che ogni mattina è in giardino per prendersi cura delle piante e oggi mi ha salutato. Buongiorno. Le quattro signore che escono a camminare per dimagrire.  Motivazione di gruppo.  Sono divenuta parte di una routine. Ma nel panorama di lui neanche l’ombra, neppure oggi. Credo di aver perso ogni speranza. Non so neppure se voglio affrontare lo stress del cane che prima o poi vorrà assaggiare la mia carne. Perché non mi sono fermata il primo giorno chiedendogli semplicemente se potevo fargli una foto?

9 agosto
Stamattina controvoglia ho preso la strada. Non volevo incontrare il cane. Per venti minuti ho pedalato pensando a quale fosse la strategia migliore per affrontarlo. Il cane giallo non c’era.
Sono arrivata all’incrocio del nostro primo incontro. Lui non c’era. Sono andata avanti. Ho fatto inversione per tornare indietro. D’un tratto ho sentito il motore. Era il suo, me lo sentivo, ma non ho voluto voltarmi a guardare. Mi è presa una grande eccitazione in quei pochi istanti in cui l’ho sentito avvicinarsi. Mi ha affiancata. Mi sono voltata per vedere se era lui. Ci siamo guardati negli occhi, ma senza dirci nulla. Lui ha proseguito. A pochi metri ha incontrato un signore che l’ha salutato chiamandolo per nome ma con le cuffie non l’ho afferrato. Ha superato il tabaccaio. Il signore ha salutato anche me con un caloroso buongiorno, cose che capitano quando si fa la stessa strada alla stessa ora tutte le mattine. Ho accelerato. Mi sono detta: stavolta gli chiedo la foto. Lui si ferma dal benzinaio. Il benzinaio lo saluta calorosamente. È del posto. Lo conoscono tutti. Stavolta gli chiedo la foto. Adesso mi fermo e lo fotografo. Lo guardo. Lui mi guarda. Stavolta glielo chiedo... ma proseguo senza fermarmi. Senza fotografare. Senza portarmi via niente. Neppure un buongiorno. Domani? Ancora?

10 agosto
Ancora uno. Un altro giorno nella stessa direzione. Il cane giallo è scomparso. Non esiste più nemmeno il signore con il cappello che fa giardinaggio. Tutti i volti che incontro sono sconosciuti. Passo davanti al benzinaio e vedo un uomo, vecchio, solo, in silenzio con il corpo troncato all’altezza delle natiche. Mi guarda. Pensa, lo sento. Fermo all’ombra lascia scorrere il tempo delle sue interminabili giornate piene del suo passato. Non ha gli occhiali da sole. Non ha il casco. Solo una vecchia testa grigia. Non ha fierezza. Non mi sono fermata. Ci siamo solo guardati, per un’ultima volta.
Poi una gran salita. Sto ascoltando il Requiem di Verdi. Finalmente vedo la discesa di fronte a me. La cantante urla. La mia solitudine urla. E mi lancio verso il vuoto con le lacrime che mi abbandonano senza controllo.

12 agosto
Oggi lui era fermo al benzinaio, con gli occhiali da sole e la maglietta nera. Fermo all’ombra. Mi aspettava. Il nostro appuntamento. Sono passata disinvolta e ci siamo guardati. Ho alzato il braccio e come una bambina gli ho fatto ciao con la mano. Lui è balzato su sorpreso e ha ricambiato rapidamente il saluto. Avrei potuto fermarmi… ma ormai è fatta. Bisogna saper aspettare. Creare il momento. E sono andata avanti. E mentre continuavo a pedalare ecco che da una stradina laterale sbuca un bombo. Una massa enorme di carne scura che i vestiti riescono a stento a contenere, sopra un piccolo motorino che scompare sotto il suo enorme corpo. Il casco infilato a pressione. Il motore che arranca a malapena. E tutto il suo corpo che sembra canticchiare al ritmo delle vibrazioni del motorino.

13 agosto
Mi stava aspettando. Fermo al benzinaio, tirato a lucido, era lì che mi attendeva. All’inizio ho fatto finta di non guardare, l’ho scorto che nervosamente si mangiava le unghie. E proprio quando stavo per passare oltre mi sono girata e l’ho salutato sorridendo. Lui prontamente mi ha risposto con un ciao squillante, in tono sollevato. Mi fermerò a parlargli? Saprò mai la sua storia? Avrò mai una sua foto?

15 agosto
Il giorno della conversazione. Ultimo capitolo?
Il cane giallo era lì, pronto ad azzannarmi. Mi è corso dietro, come se fosse oggi o mai più. Ha desistito quando ha capito che ero pronta a colpirlo con la borsa. Ho pensato che forse non ho più voglia di rischiare un morso. Ho pedalato in fretta senza nemmeno guardare i soliti particolari familiari. Ho deciso di spegnere l’iPod. Für Alina di Arvo Pärt. Solo me stessa e i miei pensieri. Il vento del mare. Il sole del mattino presto. Sono arrivata al distributore e lui era lì. Gli sono andata incontro. Era molto sorpreso. Buongiorno Signora, mi ha detto. Buongiorno. Ho risposto. Piacere di conoscerla. E gli ho teso la mano per fare la presentazione ufficiale.
Antonio, di Taviano. D’estate va a Mancaversa. Sposato, due figli, un nipote. Ha avuto un incidente sul lavoro. Era falegname. Mi piaceva fare il mio lavoro, mi ha detto. Adesso mi piace fare i miei giri. Tutte le mattine da Mancaversa a Torre Suda. Mi piace chiacchierare con le persone. E, mentre scambiavamo le nostre informazioni, la gente lo salutava. CIAO ANTONIO!
Ci siamo incontrati a Torre Suda. La meta di entrambi in questa lunga estate italiana. Il signore del giardinaggio mi ha salutato affettuoso. Che sia l’ultima volta? La foto? Gliel’ho fatta!

21 agosto
Non è finita.
Oggi l’ho atteso prima del distributore. Per fotografarlo in movimento. Così come lo avevo visto la prima volta. Si è fermato. Mi ha chiesto di seguirlo al distributore ed è stato come se ci conoscessimo da sempre. Io e lui per strada che andavamo nello stesso posto. Lui sulla sua strana moto. Io sull’orribile bicicletta azzurra che ho noleggiato. Una volta arrivati, si è tolto il casco e ha acceso una sigaretta. Fuma in modo normale. Senza atteggiarsi. Gli ho detto che giovedì sarà il nostro ultimo giorno. Che peccato, mi ha risposto. Ci si affeziona alle persone quando le si vede tutti i giorni. Gli ho detto che non avevo voglia di tornare al lavoro. E con lo sguardo triste, dispiaciuto, e una voce nostalgica mi ha risposto: Perché? È così bello poter lavorare...

22 agosto
Il Tony. Penultimo giorno.
Siamo arrivati insieme. Come a un appuntamento abituale. Il benzinaio (un bell’uomo alto biondo con gli occhi azzurri i baffi e una catena d’oro al collo) gli ha portato il caffè. Serio. Quasi molesto. Ho sorriso. L’aspettano con il caffè, ho detto. Certo, mi ha risposto lui. Il benzinaio ancora serio mi guarda e mi chiede se ne voglio uno. No grazie. Senza complimenti. Non mi piace, la ringrazio. Non vorrà portarselo via, mi ha chiesto ridendo. Mi è scappato un altro sorriso. Perché? Ho chiesto. Cosa faccio io senza il Tony, ha detto. Allora il Tony mi ha detto che sono amici dal ’68. Sono 44 anni che si vedono tutti i giorni. Amici da una vita. A volte neppure si parlano, ma si fanno compagnia. Le amicizie fatte di tempo passato insieme.
Allora domani è l’ultimo giorno? Sì. Domani è l’ultimo giorno.
E l’anno prossimo torni? Non credo. Ah.
Domani posso farle altre foto? Certo. A domani.

23 agosto
Ciao bella Signora! Ultimo giorno.
Ormai sono di casa. Il benzinaio mi saluta come se ci conoscessimo da sempre. Vado incontro al Tony per fotografarlo in movimento.
Poi insieme andiamo dal suo amico che mi offre un caffè. Brutto dire no. Ma proprio non riesco a berlo. Allora eccolo che mi offre dei fichi d’India. Non ne ho mai mangiati. Non ne ha mai mangiati? Allora deve assaggiarne uno! E mi porta una ciotola piena e mi dice di mangiarmela tutta se ne ho voglia. Il fico d’India. Ne ho visti tanti in questi giorni. Li ho visti passare dal verde all’arancione.
Ci siamo fumati una sigaretta tutti e tre insieme. Ne abbiamo fumata un’altra. Loro che si raccontavano le ultime novità. L’amico che mi spiegava la sua visione del mondo, della guerra, dell’economia.  Tony mi ha raccontato che sua moglie non vuole uscire più. Gli altri anni andava al mare, adesso sta a casa. Cucina. Siamo tanti in casa. Ci sono anche i miei nipoti. Mi guarda e sorridente mi dice: Ciao bella Signora! Devo andare via?, gli chiedo. No, era solo CIAO BELLA SIGNORA! Buongiorno buongiorno, ho risposto. Poi ancora chiacchiere, finché è giunta l’ora di salutarci davvero.
Mentre rientravo pensavo alla familiarità di questa strada e dei suoi personaggi. Ai miei incontri. Al Tony. Non so niente di lui, o quasi. Eppure è come se ci conoscessimo da sempre. Il resto lo avrebbe fatto il tempo. Prima di andare gli ho chiesto se l’anno prossimo sarebbe stato ancora lì, alla stessa ora. Sempre qui sono. Mi ha detto. Se Dio vuole.