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ALICE IN DREAMLAND

di Ivan Cenzi

Una lontana e stonata calliope spandeva al vento la sua musica, che riecheggiava sinistramente allegra, come una traccia sonora preatomica. Poi taceva di colpo.
La grande ruota panoramica di Coney Island, arrugginita e ricoperta d’alghe e di muffa, cigolava,
enorme occhio meccanico nel plenilunio… tu eri sola nel luna-park abbandonato e distrutto.
Ovunque soltanto il fischio cupo della brezza salmastra, misto agli scricchiolii metallici delle giostre corrose… entravi in un baraccone dalle logore tende rosse, e vi trovavi un antico proiettore.
Le bobine caricate, sfarfallando sullo schermo macchiato, mostravano i costumi sessuali dei gemelli siamesi più celebri del mondo, Chang ed Eng Bunker. Collegati da un cilindro di cartilagine, all’altezza dello sterno. Il vecchio cinegiornale spiegava che per avere ventisette figli – senza contravvenire ai puritani pudori delle consorti – riuscivano con sforzo a coricarsi spalla a spalla, mentre la carne che li univa si tirava faticosamente... in verticale fra di loro tendevano, sospesa su una corda, una vecchia coperta – in modo da garantire alla sposa di turno il dignitoso riserbo dovutole… avendo due sistemi nervosi separati, raggiungevano l’orgasmo individualmente e, nel filmato, vedevi Cheng leggere il giornale e fumare un sigaro, sdraiato, mentre al di là della tenda quadrettata due corpi si muovevano… Spegnevi il proiettore e uscivi nella luce della luna.
Tra le rovine riuscivi a trovare il carrozzone di Koo Koo, la donna uccello, annunciato a grandi lettere da uno striscione ormai scolorito. Sulle assi sconnesse del pavimento c’erano ancora alcune piume e un uovo grigiastro se ne stava un po’ storto, appoggiato in precario equilibrio su un muretto… In una cabina diroccata trovavi una spada, con su inciso: “MANGIAMI”. Pur non avendo mai ingoiato una lama, la portavi alle labbra e facevi scivolare nella gola il freddo metallo.
Di colpo cominciavi a crescere, crescere, le ossa del torace schioccavano mentre ti allungavi, le tue vertebre vibravano atrocemente come il sonaglio di un serpente, il dolore ti avrebbe fatto esplodere, ma all’improvviso tutto finiva… ti guardavi in un lurido specchio, ed eri Jack Earle, il gigante.
Ti incamminavi, con la tua nuova andatura ondeggiante per via delle gambe troppo lunghe, attraverso la midway del parco divertimenti deserto, mormorando sottovoce… dove siete andati tutti… dove siete andati tutti… e ancora la ruota muggiva sotto la luna d’osso.
Dietro un’insegna crollata, che pubblicizzava Otis l’uomo rana – la vernice scrostata lo faceva assomigliare a una specie di dinosauro – trovavi una fiasca di benzina con su scritto “BEVIMI”… la ingollavi, prendevi un fiammifero… ed ecco che, sputando fuoco, cominciavi ad accorciarti, con ogni fiammata ti restringevi, le gambe rientravano nel bacino e il collo rientrava nelle spalle… le tue gambe erano sparite, così, camminando sulle mani, ritornavi allo specchio: non avevi più un corpo dalle costole in giù… eri Johnny Eck, l’uomo a metà.
Ora molto più leggera, ti incamminavi saltellando da un braccio all’altro verso l’ultimo, grande carrozzone… ti ferivi una mano con un chiodo arrugginito che spuntava dal terreno… quando infine arrivavi all’enorme baraccone – l’insegna recitava “HUMAN ODDITIES” – eri già in preda agli spasmi tetanici… scostavi la tenda, lottando contro i tuoi stessi muscoli che si stavano irrigidendo.
E lì, ecco tutti i tuoi compagni.
Ritta Cristina la bambina a due teste, Grace la donna dalla faccia di mulo, Betty Lou la meraviglia dalle quattro gambe e dalle tre braccia, Bob l’uomo a due facce, Francio la Venere di Milo vivente,
Fanny la piedona dell’Ohio, Ella la donna cammello, Dolly metà donna metà bambina, Eli l’acrobata senza gambe, Sealo l’uomo foca, Alice la donna orso, Serpentina la donna serpente, l’uomo di gomma, la meraviglia azteca, la donna barbuta, l’uomo illustrato, il geek, il cervello di Hitler, la grande famiglia di teste di spillo, Carl il violinista monco, Bill l’uomo dai tre occhi, sua moglie Milly la donna alligatore, LaVonda la donna minuscola, Tom Thumb il re dei nani, la donna unicorno, Nikolai Kobelkoff il tronco umano, Mignon la donna pinguino, May Joe il bambino a tre gambe, Martha la meraviglia senza braccia, gli ermafroditi, Lucy la donna cane, Jon l’uomo di roccia, Joseph l’uomo elefante, John l’indescrivibile, Hugh l’uomo ossificato, l’uomo di vetro, gli eunuchi, il puntaspilli umano e i mangiachiodi, l’uomo treccia, Ganga e Jamuna le donne ragno, Gorge il ragazzo tartaruga, i masticatori di sudari, Eeka la venere selvaggia...
Tutti lì ad attenderti. Ognuno nel suo grande, oblungo contenitore di vetro… l’odore della formalina era insopportabile… così questa è la fine. Eccoci qui, tutti inscatolati dietro le vetrine. Niente più spettacoli, niente più applausi, o magia – finite le luci, le meraviglie, la musica – solo il giallo acido che ci conserva nelle teche di cristallo – fino alla fine di questo assurdo Big Top – che chiamiamo universo. Combattendo la paralisi del tetano, ti issavi sull’unico grande barattolo ancora vuoto, che ti attendeva, e ti tuffavi nella formalina con un ultimo, titanico sforzo… bollicine ocra e gialle nel bruciore avvolgente mentre il tuo cuore si pietrificava di colpo… come tutto il mondo, come tutto e tutti... strane facce di pietra nella parete del Tempo.