GIORGIO BELLEDI

testo e foto di Lina Vergara Huilcamán

“Ho fatto il libraio dal 1946 al 2002.
Adesso ho 83 anni,
sono abbastanza vecchio per parlarne?”.
(Ridiamo insieme.)

“Ho fatto due mestieri per tutta la vita” dice “questa è la casa di una famiglia di pittori”. (Tutti i muri sono ricoperti di quadri, suoi, della moglie defunta, del suocero.)
“Il mestiere principale che ho fatto per vivere è stato quello del libraio”. (Inizia a raccontare e con poche frasi chiarisce passato, presente e futuro.)
 “Mio padre aveva una piccola libreria che è durata 25 anni, piccola ma con una clientela di cultura” al punto da aver dato luogo alla nascita di una rivista, La Palatina, finanziata segretamente da Barilla, “adesso è morto, ormai si può dire”, diretta da Attilio Bertolucci (poeta e padre dei due cineasti) e che ha pubblicato autori come Pasolini, Gadda, Tassi, Artoni.
“La rivista era diffusa in tutta Italia, senza pubblicità. È durata sei anni”.
“Era una piccola libreria, la nostra, che si sorreggeva appena, ma dava da vivere a due famiglie, la mia e quella di mio padre”.
“Poi arrivò Feltrinelli, Montroni mi propose di diventare il direttore di questa nuova libreria e io accettai. Vendetti la mia, mio padre ormai era vecchio, e mi portai dietro la mia clientela”.
“Imparai il metodo Feltrinelli. Nella mia libreria non avevamo mai fatto un inventario”.
“Nella mia libreria le persone, la clientela, stavano dentro delle mezze giornate a chiacchierare, mentre noi facevamo il nostro lavoro. Era una libreria piccola. Quando andai in Feltrinelli, era una libreria grande dove entrava molta gente, ma io mi sono sempre tenuto questo spazio, con i clienti”.
“Adesso il rapporto tra commessi e clientela è molto diverso”. “Il commesso di una libreria prima destava stima e ammirazione”. “I sistemi che contribuiscono alla formazione di un commesso non ci sono più”. “Mancano i librai. Si tenta di vendere i libri come fossero una merce qualsiasi”.  “Sono subentrati i computer, ma per la formazione del libraio erano più utili le schede. Erano più lente, ma obbligavano il commesso a conoscere il libro, passo per passo. Quando entravano le novità, venivano inserite al loro interno le schede con autore, titolo, casa editrice, data di ingresso e la scheda veniva poi ritirata alla cassa al momento della vendita”. (Ve le ricordate le schede? Io me le ricordo, e non avevo mai capito a cosa servissero.)
“Il computer fa le stesse cose, in modo molto più veloce, ma le fa una sola persona. Invece le schede venivano prese in mano da tutti i commessi della libreria, e i commessi ruotavano, perché ognuno di loro doveva imparare un diverso settore della libreria, ne doveva conoscere i libri”. “ La formazione del commesso, del libraio, la faceva la libreria negli anni”. “Prima c’erano molti più libri, sono subentrate tecniche manageriali che hanno eliminato tutti quei libri che hanno scarsa rotazione”.
“Per me però una libreria che ritenevo di cultura doveva avere certi titoli che sono assolutamente indispensabili anche se di scarsa vendita”.
“Poco alla volta, ma soprattutto dopo il 2000, sono iniziate a cambiare le cose, allora era ancora importante l’immagine culturale che la libreria trasmetteva. Poi hanno preso importanza cose come gli utili, i costi… ”. “Non nego a questa nuova dirigenza il diritto di rinnovare le librerie, ma avrei tenuto le librerie con maggior rendimento e fama. Le avrei mantenute per mantenere l’immagine di Feltrinelli”. “Si è persa l’idea di cultura della libreria”.

(La crisi?)
“Negli anni ’50 e ’60, quelli del boom economico, non si vendevano più libri. Il boom privilegiava altri generi”.
“A maggior circolazione di denaro non corrisponde una maggiore vendita di libri”.

(La pittura?)
 “A 18 anni, con un amico, ho iniziato ad andare alle prime biennali del dopoguerra. Attorno al ’45/’46. Poi vedevamo le mostre e poi dipingevamo. Ma, a poco a poco, è subentrata una cultura dell’arte e quindi è subentrata anche una forma di professionismo”. “Mio padre condivideva la mia passione per la pittura, quindi tutti i giorni mi assentavo dalle undici alle tre per dipingere”.
“Ma rinunciai alla pittura per molti anni, dopo”.

(Ho voluto riportare le sue frasi così come le ho ascoltate.
Sono arrivata a Parma una mattina soleggiata di inizio autunno. In treno. Ho attraversato il ponte per svoltare a destra in una stradina di case antiche che si affacciano sul fiume Taro.
Ho suonato. Mi sono annunciata. Sono entrata.
L’appartamento, appena messo piede dentro, riflette chi lo abita in tutto e per tutto. Sorridente e accogliente, come lui. Gentile e colto, come lui… ma tarderò ancora qualche minuto a scoprirlo.
Tutte le pareti sono piene di quadri. Non i soliti paesaggi, ma piuttosto pensieri e riflessioni. Mi fa sedere sulla poltrona più comoda, quella usata per ascoltare gli audiolibri, la musica. Mi chiede cosa voglio sapere… io non voglio sapere nulla di concreto. Mi piace ascoltare, sedermi su una comoda poltrona a sentire le storie di persone che hanno vissuto tutto e che possono insegnarmi la loro versione delle cose. “Ho fatto il libraio dal 1946 al 2002. Adesso ho 83 anni, sono abbastanza vecchio per parlarne?”. Ridiamo insieme.
Un uomo speciale, che ha amato la sua vita e il suo lavoro, tutti e due, la sua famiglia.
Mi ha regalato i cataloghi delle mostre che ha fatto.
È stato come quando da piccola mi sedevo sul dondolo della Signora Armanda e la ascoltavo raccontare la sua vita. Con poche frasi. Sagge. Piene di una storia che io non avevo potuto vedere ma che lei illustrava ai miei occhi, regalandomi una memoria che mi ha aiutato a crescere. E vorrei ora regalare a voi una memoria che sarebbe un peccato perdere.)