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LA LEGGENDA DELL’ANGELO DELLA MORTE

di Ivan Cenzi

La nostra epoca non è avara di leggende come si potrebbe pensare a prima vista. Nel Dictionnaire des mythes d’aujourd’hui, diretto da Pierre Brunel, vengono annoverati, fra gli altri, miti contemporanei di rilevanza simbolica, Che Guevara e la sigaretta, gli extraterrestri e la Principessa Diana, la famiglia Kennedy e Marilyn Monroe, Elvis Presley e la doppia elica del DNA. Alcune di queste figure leggendarie hanno un sapore antico, perché, come tutti i buoni racconti mitologici, ci parlano della nostra condizione: il destino, l’ascesa e la caduta, le speranze disattese, il sublime e il marcio che rappresentano gli estremi delle possibili declinazioni umane.
L’angelo bianco, lo chiamavano per i suoi modi gentili e il suo camice sempre intonso. L’angelo della morte era il suo secondo soprannome, quando le maniere accomodanti venivano a cadere, e si rivelavano la crudeltà e la disumana insensibilità del suo carattere. Ad Auschwitz, Joseph Mengele era colui che, ogni volta che un nuovo convoglio riversava sul grande cortile il suo carico di centinaia di prigionieri terrorizzati e sofferenti, decideva con un gesto della mano chi era abile al lavoro e chi invece non avrebbe passato nemmeno una notte al campo. Appena scesi dal treno, tre deportati su quattro venivano inviati direttamente alle camere a gas. Ma se per caso in mezzo al centinaio di nuovi arrivati c’erano due gemelli, ecco che gli occhi di Mengele si ravvivavano di colpo. Su suo espresso ordine, le coppie di gemelli omozigoti andavano tassativamente risparmiate e alloggiate in apposite baracche “di lusso”, dove avrebbero goduto di speciali privilegi. Almeno fino a quando gli strani esperimenti del dottore non avessero preso una brutta piega.
Le ricerche eugenetiche di Mengele sui gemelli erano un tentativo di comprendere se fosse possibile selezionare i tratti somatici della razza ariana, e riprodurli a piacimento. Appena arrivato ad Auschwitz, Mengele aveva compreso immediatamente quale immensa fortuna gli fosse capitata: quale altro studioso avrebbe mai avuto l’opportunità di portare a termine esperimenti su centinaia di esseri umani, senza alcuna remora morale o ingerenza esterna? Così, cercò di sfruttare ogni minuto di lavoro al KZ con estrema metodicità.
Gli esperimenti di Mengele a Birkenau hanno assunto nel tempo un sinistro alone di leggenda: i sopravvissuti hanno raccontato di inoculazioni di terribili virus, iniezioni negli occhi per modificarne il colore, vivisezioni, bambini cuciti assieme per ricreare le condizioni dei gemelli siamesi, e sommarie esecuzioni con il fenolo, eseguite dall’angelo della morte senza battere ciglio, con il fermo convincimento di scrivere in questo modo la storia della medicina.
La fine della guerra interruppe bruscamente la follia di questo macabro idillio scientifico; costretto alla fuga, Mengele si rifugiò in Sud America, dove era ancora possibile trovare dei simpatizzanti e dove un uomo come lui poteva ricostruirsi una vita.
Alcuni dei risultati documentati dagli esperimenti nazisti, per quanto possa sembrare scandaloso, fecero effettivamente avanzare le conoscenze in ambito medico, proprio in virtù dell’eccezionale assenza di scrupoli e del contesto in cui erano stati sviluppati. Diversi medici nazisti vennero arruolati come esperti fra le file degli scienziati americani, con l’accordo che le loro antecedenti malefatte sarebbero state cancellate dalla loro fedina penale; Mengele però era un simbolo troppo estremo per ottenere il benestare dell’America. Il dottore demoniaco, condannato a una perenne clandestinità, non aveva alcuna speranza di essere perdonato. Suo figlio, che riuscì a incontrarlo in segreto due anni prima che morisse, raccontò di aver trovato un vecchio inacidito e duro, ancora stoico sostenitore delle sue scelte e immune al rimorso.
Ma la leggenda dell’angelo della morte non finisce con la sua stessa dipartita.
Cândido Godói è un villaggio di 6000 anime, una frazione molto interna e lontana dal mare del Brasile del sud. Il piccolo paese è famoso per uno strano record: la probabilità che nascano gemelli omozigoti è statisticamente molto più alta qui che in ogni altra parte del mondo. Gemelli spesso biondi e con gli occhi azzurri. E alcuni dei vecchi del paese amano raccontare di un medico tedesco che, negli anni ’60, si aggirava nei dintorni offrendo alle donne incinte visite a domicilio e strane medicine...
Basta qualche giornalista alla ricerca di uno scoop, e uno scrittore incline alle fantasticherie auto-proclamatosi storico, ed ecco che i principali quotidiani del mondo titolano: “Scoperti i ragazzi del Brasile”. Questo appellativo proviene dal romanzo di Ira Levin, The Boys from Brazil, che nel 1978  è stato adattato per il cinema: nel film Gregory Peck, un Mengele invecchiato ma non ridotto all’impotenza, viene scoperto da Lawrence Olivier mentre progetta di clonare un centinaio di nuovi Hitler: sono loro i “ragazzi del Brasile”, un gruppo di gemelli creati in laboratorio a partire dal DNA del Führer in persona.
A Cândido Godói Mengele avrebbe dunque portato avanti i suoi diabolici esperimenti sui gemelli anche dopo la fuga dalla Germania? Ovviamente no, visto che all’epoca se ne stava rintanato in una fattoria a centinaia di miglia da lì. Viene anche da chiedersi quali incredibili e fantascientifiche conoscenze avrebbe dovuto avere per riuscire a indurre parti gemellari somministrando una medicina. L’elevata incidenza di gemelli a Cândido Godói è molto probabilmente dovuta all’unione fra consanguinei e all’omogeneità della popolazione, isolata geneticamente e di discendenza tedesca (bambini biondi e con gli occhi azzurri, nessun mistero).
Ma ogni leggenda vale per il simbolo che la sottende: abbiamo bisogno di credere anche nell’esistenza degli angeli malvagi, e più la figura di Mengele si vela di oscure ombre quasi soprannaturali, più è facile relegarlo nell’immaginario, lontano dalla sua (ben più spaventosa) realtà di semplice uomo.