“Mi rinchiusero in ospedale perché si era aperto un grande squarcio nel banco di ghiaccio fra me e gli altri che guardavo allontanarsi alla deriva, insieme al loro mondo, su un mare color malva dove pesci martello dal languore tropicale nuotavano fianco a fianco con le foche e gli orsi polari. Ero sola sulla banchisa. Si era levato un vento gelido di tormenta e io mi sentivo intorpidita e mi venne voglia di stendermi a dormire e lo avrei fatto, se non fossero arrivati gli sconosciuti con forbici e borse di tela piene di pidocchi e flaconi di veleno con etichette rosse, e altri pericoli di cui non mi ero mai resa conto prima - specchi, camici, corridoi, mobili, metri quadrati, pezze intere di silenzio – in tinta unita e a quadri, campioni gratuiti di voci. E gli sconosciuti, senza parlare, innalzarono tende di calicò e si accamparono insieme a me”.
Dal libro: Dentro il muro di Janet Frame
(Edizioni Interno Giallo, traduzione: Lidia Perria)