“Un libraio è come l’attore di un teatro meraviglioso,
ma adesso non fa che alzare e calare il sipario ogni giorno.”
Con questa frase, Maurizio Ranfagni, ex-libraio, ex-direttore Feltrinelli e tante altre cose… amante dei libri e del loro vendere, inizia una chiacchierata di quasi due ore in un caffè alla periferia di Firenze, in una calda giornata di luglio.
Un uomo che ha lavorato nei libri tutta la sua vita, con tanta energia ed entusiasmo da accorgersi un giorno, tornando a casa, di avere una figlia di ormai 25 anni e di non averla vista crescere.
In pensione, continua a lavorare per uno degli oggetti più amati del mondo.
E con la saggezza di chi ha visto l’Italia crescere, e con essa le librerie e le grandi catene, con gli occhi e la curiosità di chi ha viaggiato per osservare cosa succedeva nelle terre che stanno intorno, lui non ha paura della crisi.
“Forse adesso le cose cambieranno”, dice. “Io ci spero”, aggiunge, lui che ancora osserva l’evolversi o il dissolversi del suo lavoro, che si alza ogni mattina per pensare cosa inventare per promuovere la lettura e il commercio di questo bene prezioso.
Un commerciante di libri, ma quando ho chiesto perché il libraio si rifiuta (a mio parere) di avere un atteggiamento commerciale rispetto al prodotto preoccupandosi di quello intellettuale, ha cambiato tono.
Il commercio, i numeri… hanno causato la perdita di alcuni dei patrimoni di questa Italia. Librerie bellissime hanno ceduto i loro locali per essere trasformate in altro, in virtù di profitti più alti, dimenticandosi di tutta la vita culturale e sociale che si sviluppava in quegli ambienti.
“Manca la figura del libraio”, sostiene “l’informatizzazione doveva rendere tutto così agile e veloce da dare a questa figura più tempo per parlare con i clienti, per offrire un servizio migliore, tempo per pensare all’esposizione ottimale, alle promozioni più adeguate, alle vetrine.”
E invece… si è ottimizzato talmente tanto da trasformare il libraio in un “impiegato che alza e abbassa il sipario ogni giorno”.
Sono stati i numeri a rovinare e far chiudere le nostre librerie?
Ranfagni crede nella necessità dell’intervento del governo. Ha ricordato casi in cui solo il potere di un politico appassionato di libri ha salvato una libreria. Il governo dovrebbe prendere a cuore la situazione dei libri e delle librerie, e aiutare a sviluppare i progetti, non per motivi economici, ma per ampliare lo spazio che ha la cultura in questo paese, per creare ciò di cui l’Italia ha bisogno: una base per formare la propria libertà di pensiero e crescere.
Il piacere di parlare con uomini come Ranfagni risiede proprio nella stupefacente quantità di cose che hanno da insegnare. La saggezza, l’esperienza, la memoria di tanti anni vissuti sono un bene prezioso che andrebbe consultato e riconsultato più volte, con grande attenzione. Le mode cambiano, i tempi corrono, la tecnologia, le innovazioni, le nuove idee, non sono nulla se non vengono supportate dall’esperienza di chi ha visto più cose di noi. Anche se i tempi erano diversi, le possibilità di adattare l’esperienza al quotidiano sono infinite, perché in fondo la nostra natura non cambia, o non così velocemente, stando a quanto dice Darwin.
Ranfagni è un uomo amabile che ha visto il tempo passare, che ha conosciuto i grandi personaggi che hanno fatto quest’Italia. Nei suoi occhi si può ancora leggere il romanzo della sua storia e sono contenta di avere avuto il privilegio di incontrarli.
Un uomo che crede e spera nel futuro, nelle persone. Che mantiene viva la curiosità per quello che lo circonda. Che non ha perso la capacità di farsi delle domande e di cercare delle risposte.