Editoriale

di Francesca Del Moro

A volte capita che il libro che teniamo tra le mani inneschi in noi una catena di pensieri invitandoci a instaurare una sorta di dialogo. Ispirati dalla lettura, ci ritroviamo a scrivere sulle sue pagine. Così, i volumi che compriamo ai mercatini o nei negozi dell’usato ci offrono spesso l’occasione di intrufolarci nella mente di un vecchio lettore che ha lasciato, vicino al testo stampato, qualche pensiero, un commento, un dubbio, addirittura una domanda. O una poesia. Magari proprio riferita a quel libro, o ai libri in generale, suggerita dal piacere e dal senso di gratitudine che la lettura procura a chi la ama. È un gesto di questo tipo quello compiuto dai quattro poeti qui pubblicati, che esprimono, ognuno a suo modo, il loro amore per i libri. Nella poesia di Vera D’Atri, basta tendere la mano verso lo scaffale per riportare in vita le voci di grandi poeti in una stanza impregnata di un tormento tutto interiore; nei versi di Stefano Pradel la stessa solitudine trova riparo e sogni in una casa fatta di pagine; Roberto Parmeggiani inscena un vivace gioco di seduzione tra la parola scritta e il lettore e Maurizio Landini riflette sul temuto potere dei libri come depositari di libertà e delle lezioni della storia.

Resti umani

di Maurizio Landini

Provarono poi
a leggere le ceneri
come fossero lettere
senza capire la storia.

Canzone per i danzatori: terzo frammento

di Stefano Pradel

COSTRUÌ una dimora
d’inchiostro e carta
dipinta di silenzi
d’amore e nulla.

Costruì una dimora
al limite del vento,
dove la cenere
sembrava meno scura
e non poté con essa il tempo.

La pioggia dice: lascia perdere.

di Vera D’Atri

La pioggia dice: lascia perdere.
Lascio perdere.
Ma dentro conservo freddissimi esclamativi,
freddissime grida come da un bosco di fucilati.

Cerco il prossimo. Vado a pagina 69.
Majakovskij dice:  “il toro dei giorni è spezzato” .
Whitman: “il mio guscio non è di calcare”.
Eliot sussurra: “ …ma tessi, tessi la luce del sole nei capelli… ”.

La casa ristagna nel letto.
Non dorme da molto. È rimasta tra questo mondo
e quell’altro in attesa della calma del cuore.
Ha sentito sfumare la vittoria e se ne sta a braccia conserte.
Disapprova questi giorni scadenti
mentre è del tutto indifferente al ritmo che incalza,  
rotolando lievi, uno sull’altro, il tempo dei fiori
e quello dei camposanti.

Esco.
Mi affaccio, piano piano.
Rischio il contatto.
Il rifiuto.
La passione sfrenata.
Racconto un sentiero,
definisco una meta,
sospendo il sospetto,
offro un punto di vista.
Ci incontriamo di sfuggita,
tra le righe, dietro gli angoli
uno sguardo,
gote rosse,
cuore, cuore, cuore,
il pensiero,
un terrazzo in riva al mare,
in quel vicolo solitario.
Relazione complicata,
ci prendiamo e lasciamo,
ritroviamo l’armonia,
non ci lasceremo mai.
Io parola, tu lettore.

La donna che si baciava con i lupi

di Guido Catalano

“raramente la bella ragazza è ignifuga
dunque inutile cercarla nel sole.”

Spesso guardata con sospetto da chi la immagina capace solo di struggimenti del cuore sfogati con improbabili parole rimate al cospetto di tramonti, la poesia può tutto: indagare la condizione umana, far pensare, far arrabbiare, far commuovere, far sognare, far piangere ma… di certo non tutti lo sanno… può persino far ridere! E, oltre a commuoverci e a pensare, ecc. ecc., si ride parecchio leggendo La donna che si baciava con i lupi, un titolo che contiene solo il primo dei mille riferimenti testuali stravolti (a voi scoprire quale) che si susseguono nel libro. Al crocevia tra i poeti della beat generation e il cabaret, Guido Catalano ci trascina in una serie di situazioni surreali e dialoghi improbabili, in cui tuttavia si respira un senso di familiarità che fa pensare che è proprio così che andrebbero le cose, se abbattessimo il muro del pudore e delle convenzioni. A uno a uno il poeta pone tutti i cliché del linguaggio amoroso sotto il crudele microscopio dell’ironia: si stupisce degli amanti coccianteschi che prendono stelle per l’amata incuranti delle ustioni, suda una cavalla di cui si innamora e che si chiama Beatrice, dialoga con una Tristezza e una Noia personificate alla maniera di Baudelaire, snocciola liriche amorose in francese maccheronico, perché, si sa, il francese è la lingua dell’amour. E dall’amore si irraggiano altri temi universali, come la Morte, la poesia, perfino Dio, sempre filtrati dalla poetica dell’autore che ne affida la formulazione a uno dei propri mentori immaginari, Ludovico Einaudi: “Perché devi sempre dire le cose in forma di minchiata?”.

La donna che si baciava con i lupi
Guido Catalano
le bolle blu edizioni