C’era una volta un bambino fatto di carta. Non poteva piangere, l’acqua non gli avrebbe certo giovato. Doveva stare ben attento a non urtare nulla, tanto era delicato. Per non parlare di lame taglienti e fuochi fiammeggianti, i suoi incubi notturni.
Se ne stava sempre rintanato in un angolino asciutto e riparato, lontano da qualsiasi pericolo.
Non amava gli altri bimbi che, indiscreti e rumorosi, erano sempre pronti a graffiarlo di colori.
Lui fuggiva trafelato. “Solo io posso scrivere la mia storia!” ripeteva con orgoglio.
Era un bambino immacolato, ancora tutto da narrare. Pieno di entusiasmo e carico di aspettative, decise che, piuttosto che lasciarsi guidare dal caso, avrebbe iniziato la sua storia con la parola giusta e il colore appropriato.
Cominciò allora a collezionare matite e pennarelli: punta fine, punta tonda, punta a sfera, morbida o rigida, penne indelebili o cancellabili, di bambù, d’oca o di gallina. Non contento, passò ai pennelli e ne scelse di tutte le fogge: pennelli piatti, larghi, stretti, pennellesse, tondi, sottili, a lingua di gatto e a muso di bue.
Poi cominciò con i colori: a olio, a tempera, acrilici, chine, inchiostri, vernici e impiastri. Col passare degli anni arrivò a mettere insieme un vero e proprio arsenale.
Ogni giorno, soddisfatto, ammirava i colori e fantasticava su come sarebbero stati brillanti e armoniosi sulla sua pelle di carta bianca.
Erano uno più bello dell’altro, ma nessuno lo era abbastanza da essere il primo.
Trascorse lunghe giornate d’attesa nella sua ricerca vorace e solitaria, finché divenne stanco, vecchio e prosciugato. E non una parola gli era restata, solo la sua pelle di carta bianca immacolata.