Stefano Bessoni

Artisti - vita, morte e miracoli

di Stefano Bessoni

Scarabocchio, scrivo, faccio film. Vorrei avere un brevetto da palombaro e uno per guidare dirigibili e palloni aerostatici. Mi piacerebbe avere un coccodrillo come animale domestico, al quale cederei volentieri la mia vasca da bagno. Non so guidare le automobili, ma non me ne preoccupo troppo, in fondo ci sono i tram, i treni, le biciclette e soprattutto le gambe.
Da piccolo sognavo di diventare un becchino ma poi non ci sono riuscito e così, dopo una deviazione verso la zoologia e le scienze naturali, mi sono diplomato all’Accademia di Belle Arti. Alla fine ho deciso di fare cinema, che è il mezzo espressivo che prediligo, anche se il disegno rimane uno strumento fondamentale nel mio lavoro quotidiano.
Sono ossessionato dalla morte e penso che la fotografia e il cinema siano un modo, seppur effimero, per vincerla. Fermare istanti di realtà catturando le immagini significa congelarli per sempre. Oltretutto per me la macchina da presa è come una sorta di matita, che mi permette di manipolare la realtà per inventarne una completamente mia.
La mia folgorazione per il mezzo cinematografico è avvenuta vedendo un film di Peter Greenaway: Giochi nell’acqua. Nello stesso periodo ho visto anche Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders e ho capito che il mio futuro sarebbe stato nel cinema. Non mi considero un illustratore, ma uno “scarabocchiatore” e quando vedo i lavori degli altri cado spesso vittima di un profondo complesso d’inferiorità. Disegno per catturare e fermare idee, mi piace schizzare con la matita, a volte usare gli acquerelli, le tempere e gli acrilici. Cerco sempre di lavorare in velocità, per non essere sopraffatto dalla ricerca effimera dell’effetto estetico e dalla mia proverbiale pigrizia.
Il mio lavoro con le immagini è accomunabile alle Wunderkammer. Ho sempre raccolto oggetti, conservato animali rinsecchiti, teschi, cose che mi suscitano stupore e ammirazione per conservarle ed esibirle in un mio personale museo del mondo. Sono attratto dal macabro, dal perturbante, dalla decomposizione, da tutto ciò che è sinistro e mortifero. Mi affascinano tutte le arti espressive e cerco di catturare suggestioni ovunque. Nella letteratura, amo i grandi classici come Kafka, Borges, Poe, Schulz, Hoffmann, ho adorato Carnival Love di Catherine Dunn e Trilogia della città di K. di Agota Kristof. Non mi stanco mai di rileggere Alice nel paese delle meraviglie e Pinocchio. Sono rimasto folgorato dai Galgenlieder (Canti della Forca) di Christian Morgenstern, sui quali sto cercando da anni di realizzare un film e un libro illustrato.
Mi piacciono le illustrazioni di Dusan Kallay, Roland Topor e Lisbeth Zwerger, i teatrini macabri di Elizabeth McGrath. Impazzisco per le fotografie di Joel Peter Witkin. Adoro le ballate macabre di Nick Cave, ascolto estasiato il punk balcanico dei Gogol Bordello, il folk francese dei Têtes Raides, e poi Mano Negra, Les Négresses Vertes…
Le fiabe e il mondo dell’infanzia sono elementi fondamentali della mia poetica, insieme al mondo della scienza, in particolare l’anatomia umana, la zoologia e tutte le cosiddette “scienze inesatte”, o “anomale”. Mi incanta la dimensione irreale delle fiabe, dove il sogno si trasforma in incubo, il mite omino in orco, la tenera vecchina in strega. Mi piace lavorare sul potenziale iniziatico della fiaba, che non è altro che l’immagine speculare della realtà, dove i pericoli sono narrati per mettere in guardia il bambino ignaro che si prepara ad affrontare il mondo e, perché no, anche l’adulto.
Ho realizzato tanti cortometraggi, documentari e lavori televisivi, ho fatto video-teatro, ma le cose di cui vado più fiero sono i film di questi ultimi anni: Frammenti di scienze inesatte, Imago Mortis e Krokodyle.
Krokodyle è il film a cui sono più legato perché è un lavoro completamente libero da vincoli di natura commerciale, in cui ho potuto riversare tutte le mie idee, i miei disegni, i miei sogni, le mie paure e le mie ossessioni. Il titolo significa “coccodrilli” in lingua polacca, ed è importante pronunciarlo come si legge, senza “anglicizzarlo”. Kaspar, il protagonista, è un filmmaker di origini polacche, magicamente impregnato di tutte le influenze tipiche dei paesi dell’Est, dove regna la passione per la grafica, per le immagini, per la magia vissuta nella quotidianità. Non per nulla i più grandi autori di animazione o i più grandi illustratori provengono da quelle parti: basti pensare ai film in stop-motion di Jan Svankmajer, o alle splendide illustrazioni per Alice di Dusan Kallay, oppure agli inusuali poster cinematografici di Wiktor Sadowski. Ho voluto dedicare il titolo del film ai coccodrilli perché Kaspar, come me del resto, nutre fin da bambino un’ammirazione sfrenata per questi rettili, che considera esseri perfetti in grado di controllare lo scorrere del tempo.
In realtà Kaspar altro non è che il mio alter ego. Quella che racconto in Krokodyle, seppur proiettata in una dimensione fantastica e arricchita di invenzioni e personaggi, è la mia vita di tutti i giorni.