#AMORE

di Francesca Del Moro

Questo sentimento gigantesco mi ha invasa e ho chiuso il mio corpo all’esterno. Come in un bozzolo ho avviluppato la mia vita in questa astrazione che tuttavia sembra così materiale, pesante, pervasiva. Racimolo alibi dentro e fuori di me e mi appendo all’autoironia come a un paracadute che mi salvi dallo schianto che presento. Sei in me, sei nelle mie orecchie, sei dietro le mie palpebre, sorridi nella mia bocca, guardi con i miei occhi, mi scorri sotto la pelle, mi batti nel petto, sei l’aria nei polmoni, la lacrima sul ciglio, il sudore sul collo. Di giorno guidi i miei passi e mi tieni per mano. Di notte spengo il tuo viso al computer, accendo la luce in camera e tu ci sei. Le tue braccia si tendono nelle lenzuola, il tuo corpo l’ho sognato così tanto che ne sento i dettagli sotto il mio, la tua bocca l’ho guardata così tanto che ne riconosco il sapore sotto le labbra, i tuoi occhi chiusi si aprono come una deflagrazione nel mio pensiero. Sei bellissimo. La tua bellezza paralizza, ubriaca, ferisce. La tua bellezza fa male. La tua bellezza umilia tutto il resto. Sei bellissimo, così piccolo e insignificante, così fragile e goffo a volte, così facile da mettere in ridicolo, col tuo bisogno d’amore e la tua incapacità di amare. Un Pierrot con le lacrime imprigionate negli occhi. Quegli occhi di fredda alba che bucano le luci più abbaglianti, il buio più denso. Quegli occhi mi stanno davanti, guida e distrazione, ispirazione e ottundimento, mentre tendo la mano per prendere la tazzina del caffè, mentre porgo il biglietto al controllore sull’autobus, mentre scambio parole con i colleghi, mentre ceno con mio figlio, mentre guardo la televisione. Due buchi nella mia fronte da cui entri solo tu e fuoriesce tutto il resto, si sparpaglia, si disperde. Ti ho incontrato la prima volta rannicchiato in un angolo, con le mani piene di sangue e vetri. Sembravi una bambina, col tuo sipario nero di capelli, gli occhi enormi che bucavano l’ombra e neanche una lacrima sul viso gentile. Passavi e ripassavi i cocci sulle gambe nude e io volevo prenderti le mani e fermarle, portarmele sul viso e baciarle. Ho riconosciuto in te il bambino umiliato, mi sono rivista umiliata da bambina. Il dolore era ancora tutto dentro, e ti ho abbracciato, ti ho accarezzato i capelli, ho sentito una lacrima scivolarmi sul collo e la tua guancia fredda contro il petto.