Un naso, una bocca, due occhi. Due braccia, due gambe, due orecchie. Un corpo. Due genitori probabilmente. Un cervello. Due mani e due piedi. Un cuore. Uno stomaco e un intestino. Sentimenti. Nella norma. Umanità. Gli ingredienti c’erano tutti. Un pizzico di quello e un pizzico di questo. Ma chissà secondo quale disegno erano stati assemblati! Il naso se ne stava nel cuore, annusava prima di avvicinarsi. L’ottimo olfatto lo rendeva sospettoso. Gli occhi erano al posto delle mani e stavano a guardare. I piedi, nella bocca, non facevano che scappare. L’intestino capovolto digeriva ciò che lo stomaco avrebbe disdegnato. Il cervello era muscoloso, se ne stava nelle braccia e nelle gambe e aveva memoria delle fughe, delle fatiche, delle vie più corte o di quelle infinite. Il corpo, così in confusione, si ammalava spesso, non di malattia, ma di inadeguatezza e malinconia. Gli bastava incrociare lo sguardo degli altri per capire che la corrente gli era contraria. Loro, gli altri, avevano gli occhi giusti e le mani giuste. La loro bocca non scappava, ma parlava e diceva quello che il cervello pensava nella testa. Perfetti esemplari di esseri umani. Tuttavia, con il naso ben piantato in pieno viso, non riuscirono mai a vedere oltre, a riconoscere, in quel corpo sconclusionato, la loro medesima umanità.