Il ragazzo era partito con il piede sbagliato. Il controllore, salito a una qualsiasi fermata intermedia, lo aveva trovato senza biglietto; lui si era alzato in piedi e frugato nelle tasche, aveva cercato anche nello zainetto ma non aveva trovato l’abbonamento da studente che a quel punto disse di avere dimenticato a casa, e si vedeva che era sincero. Aveva cambiato i pantaloni e lo aveva lasciato negli altri. Il controllore, pieno di sé come quasi tutti quelli che nel nostro Paese portano un’uniforme e imbaldanzito dal potere che sentiva di esercitare sui viaggiatori, rispose bruscamente: “Sì, sì… dicono tutti così, poche storie, devi pagare il biglietto maggiorato della multa” e il giovane di fronte a tanta durezza si alterò ribattendo che non poteva trattarlo così, non era mica un albanese. Apriti cielo! Si alzò una signora che indispettita domandò che cosa avesse lui contro gli albanesi e il ragazzo, colto di sorpresa, si voltò verso di lei sbottando: “Ma che cazzo...!”. Un altro signore anziano cominciò a borbottare che i giovani sono qui e sono là e pensano che tutto sia dovuto, tanto lui, che aveva lavorato tutta la vita, pagava le tasse anche per lui e per tutti quelli come lui che non facevano nulla. “Studiano… hé!”, concluse con disprezzo. Intanto, mentre quasi tutti i viaggiatori sembravano sordi o continuavano a farsi gli affari loro, alcuni si lanciarono in invettive di vario genere contro i giovani senza neppure voltarsi, come se pensassero ad alta voce. Il ragazzo si guardava intorno stupefatto, boccheggiando come un pesce fuor d’acqua. “Ma che cazzo...!” ripeteva. “Che cosa hai contro li albanesi?” continuava la signora dietro di lui mentre il controllore sogghignando gli chiedeva i documenti. “Ma che vuole?” le rispose lui. “Guardi che io ho un sacco di amici albanesi”. In quel momento gli squillò il telefonino. Rimase per un po’ in ascolto e poi cominciò a parlare in tono concitato: “Mamma ora non è il momento, sono in un casino… ho lasciato a casa l’abbonamento e mi stanno facendo la multa. Sì! Gliel’ho detto che l’ho dimenticato a casa mamma… mamma, mamma, non posso parlare ora… ma cosa ti passo il controllore, lascia stare poi ti richiamo”. Chiuse il telefonino, ormai quasi completamente senza fiato.
Portava blue-jeans larghissimi che gli scendevano fin sotto le natiche scoprendo un paio di mutande verde marcio e una felpa grigia enorme e sformata con sopra un grande numero 9 rosso e aveva i capelli corti rasati fino a metà del cranio. “Questi giovani… questi giovani...” continuavano a ripetere gli altri, ora a voce abbastanza alta da farsi sentire.
A quel punto il ragazzo gridò con il pianto in gola: “Mi avete rotto il cazzo! Ma che volete da me? Fatevi i cazzi vostri”.
Tirò fuori la carta di identità e la porse al controllore perché non aveva abbastanza soldi per pagare e si sedette chiudendosi in un silenzio risentito mentre il borbottio si andava spegnendo.
Quando mezz’ora dopo arrivò il suo momento di scendere attraversò la vettura continuando ad ansimare gonfio di vergogna e di rabbia repressa e, vicino all’uscita, disse calmo senza voltarsi verso gli altri viaggiatori: “Ce l’ho l’abbonamento”. Anche la signora che aveva chiesto che cosa avesse contro gli albanesi si alzò e lo seguì e mentre l’autobus si fermava gli disse sottovoce dietro la nuca: “Io sono albanese… capito?”. E di seguito, ancora più piano, vicino all’orecchio gli ripeté: “Razzista… razzista”. Si aprì la portiera e mentre quella continuava con un filo di voce: “Razzista… razzista” il ragazzo piegò la testa indietro e alzando gli occhi al cielo soffiò un HUUUUUUU!! simile a un ululato e si tuffò fuori nell’aria della strada come un pesce che ha ritrovato l’acqua.